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QUESTIONI E PROBLEMATICHE IN MATERIA DI ESECUZIONE FORZATA

a cura dell’avv. Paolo Cagliari

Nel contributo, prendendo spunto da alcune recenti pronunce della Corte di cassazione, vengono esaminate questioni e problematiche che riguardano il processo esecutivo, con particolare riguardo all’interesse ad agire in via esecutiva, alla prova dell’imputazione dei pagamenti e alla formazione del titolo esecutivo inerente all’obbligo di pagamento del conguaglio nei giudizi divisionali.

  1. LIMITI ALL’ACCESSO ALLA TUTELA ESECUTIVA

La pronuncia di Cass. civ., Sez. III, 5 novembre 2020, n. 24691, ha ribadito il principio, già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in base al quale, in tema di procedimento esecutivo, qualora il credito di natura esclusivamente patrimoniale sia di entità economica oggettivamente minima, difetta, ex art. 100 c.p.c., l’interesse a promuovere l’espropriazione forzata, dovendosi escludere che ne derivi la violazione dell’art. 24 Cost., in quanto la tutela del diritto di azione va contemperata con le regole di correttezza e buona fede, nonché con i principi del giusto processo e della durata ragionevole dei giudizi.

Benché, in astratto, il creditore abbia diritto al pieno e completo soddisfacimento della sua ragione creditoria e, quindi, al pagamento integrale (comprensivo delle spese inerenti all’esecuzione o alla stessa prodromiche, nonché di ogni ulteriore accessorio), l’interesse a proporre l’azione esecutiva, quando abbia per oggetto un credito di natura esclusivamente patrimoniale, nemmeno indirettamente connesso a interessi giuridicamente protetti di natura non economica, non può ricevere tutela se l’entità è oggettivamente così minima da giustificare il giudizio di irrilevanza giuridica dell’interesse stesso.

In quest’ottica, l’art. 100 c.p.c., letto in combinato disposto con l’art. 24 Cost., va interpretato nel senso che, nelle controversie meramente patrimoniali, l’accesso al giudice dev’essere giustificato da un valore economico della pretesa che superi una soglia minima di rilevanza.

Poiché la giurisdizione è risorsa limitata, il ricorso al giudice può essere limitato quando debbano essere fatte valere pretese di natura meramente patrimoniale.

Tale impostazione trova conforto nell’orientamento, venutosi a consolidare nella giurisprudenza di legittimità, che ravvisa nel frazionamento del credito un abuso dello strumento processuale, sul presupposto che la garanzia del processo giusto e di durata ragionevole di cui all’art. 111 Cost. esclude che possa ritenersi tale quello che costituisca esercizio dell’azione in forme eccedenti o devianti rispetto alla tutela dell’interesse sostanziale, che segna il limite – oltreché la ragione dell’attribuzione, al suo titolare – della potestas agendi.

Pare, tuttavia, difficile accostare le due fattispecie: un conto è promuovere una pluralità di giudizi per tutelare il medesimo diritto, altro discorso è dovere promuovere un’azione giudiziale a fronte dell’inadempimento (sia pure di entità assai limitata, ma pur sempre sussistente) del debitore.

Non è mancato, del resto, chi ha osservato che, in questo modo, si rischia di legittimare una discrezionalità nell’accertamento circa la rilevanza o meno dell’interesse azionato in assenza di una norma di legge che fissi una soglia minima per l’accesso alla tutela giudiziale.

  1. Esecuzione forzata e imputazione dei pagamenti

La pronuncia di Cass. civ., Sez. III, 5 novembre 2020, n. 24693, è intervenuta in una fattispecie nella quale i debitori, ai quali era stato intimato il pagamento di somme portate da cambiali mediante atto di precetto, avevano proposto opposizione avverso lo stesso, sostenendo che il debito era stato estinto mediante una serie di assegni, che, tuttavia, secondo il creditore, andavano riferiti ad altre, diverse poste debitorie.

Il problema riguardava su chi incombesse l’onere di provare quale debito fosse stato estinto mediante la dazione degli assegni.

Da questo punto di vista, i giudici di legittimità hanno affermato che, in linea generale, quando il convenuto per il pagamento di un debito dimostri di avere corrisposto una somma di denaro idonea all’estinzione del medesimo, spetta al creditore, il quale sostenga che il pagamento sia da imputare all’estinzione di un debito diverso, allegare e provare l’esistenza di quest’ultimo, nonché la sussistenza delle condizioni necessarie per la dedotta diversa imputazione; tuttavia, quando il pagamento sia avvenuto mediante l’emissione di assegni bancari, poiché tale emissione comporta la presunzione dell’esistenza di un rapporto fondamentale idoneo a giustificare la nascita di un’obbligazione cartolare, resta a carico del debitore l’onere di superare tale presunzione, dimostrando il collegamento tra il precedente debito azionato e il successivo debito cartolare, con la conseguente estinzione del primo per effetto dell’emissione degli assegni.

Nel caso di specie, avendo gli assegni emessi date e importi non corrispondenti a quelli delle cambiali, spettava, quindi, ai debitori provare il collegamento dei primi con il credito – portato dalle seconde – precettato, per esempio dimostrando la non significativa anteriorità delle date degli assegni rispetto alla esigibilità del credito e la conformità degli importi rispetto ai titoli di credito azionati, non essendo, invece, sufficiente la sola coincidenza soggettiva dell’emittente degli assegni con l’avallante delle cambiali.

Alla stregua di tale ricostruzione, è stato, quindi, affermato il seguente principio di diritto: “Quando il convenuto per il pagamento di un debito dimostri di avere corrisposto a mezzo di assegni una somma di denaro in tesi idonea all’estinzione di quello, non spetta al creditore, il quale sostenga che il pagamento sia da imputare all’estinzione di un debito diverso, allegare e provare di quest’ultimo l’esistenza, nonché la sussistenza di tutte le condizioni necessarie per la dedotta diversa imputazione, atteso che, implicando l’emissione di assegni la presunzione di un rapporto fondamentale idoneo a giustificare la nascita di un’obbligazione cartolare, resta a carico del debitore convenuto l’onere di superare tale presunzione, dimostrando in modo puntuale e preciso il collegamento, anche da un punto di vista oggettivo, tra il precedente debito azionato e il successivo debito cartolare, solo a tanto conseguendo l’estinzione del primo per effetto del pagamento degli assegni”.

  1. Divisione, conguaglio e titolo esecutivo

La pronuncia di Cass. civ., Sez. VI, 9 novembre 2020, n. 25078, si è occupata, infine, delle modalità di formazione del titolo esecutivo nei giudizi divisionali, quanto all’obbligo di pagamento del conguaglio.

In particolare, il problema è stato affrontato sotto il profilo della possibilità di introdurre un’autonoma azione, volta all’ottenimento della statuizione di condanna, laddove questa non sia contenuta nel dispositivo della sentenza che definisce il giudizio di divisione e che non sia stata fatta oggetto, sul punto, di apposita impugnazione.

I giudici di legittimità hanno osservato che, nella divisione giudiziale, l’imposizione di un conguaglio rappresenta una pura modalità della divisione, resa necessaria dal fatto che le attribuzioni in natura non equivalgono al valore della rispettiva quota; il pagamento del conguaglio, quindi, non costituisce oggetto di una autonoma domanda, diversa e distinta dalla domanda di divisione, la quale, pur non menzionandolo, comprende fin da principio, nel concorso dei presupposti, la sua imposizione, cui il giudice deve provvedere d’ufficio.

In altre parole, la determinazione del conguaglio, in quanto attiene alle concrete modalità di attuazione della divisione, prescinde dalle singole domande proposte dalle parti e la sua imposizione a carico del condividente non costituisce capo autonomo della sentenza che definisce il giudizio.

Da ciò consegue che il giudice della divisione che, sussistendo divario di valore fra quota e porzione, ometta la previsione del conguaglio, non incorre in omissione di pronuncia, ma in un errore di giudizio, rimediabile solo con l’appello.

Tuttavia, nel caso – quale quello di specie – in cui, anziché in un errore nell’applicazione delle norme che disciplinano l’iter divisorio, venga omessa nel dispositivo la statuizione impositiva dell’attribuzione del conguaglio pure menzionato e quantificato nella motivazione, si è in presenza di un errore materiale, emendabile con il procedimento di correzione di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c.

In entrambi i casi, tuttavia, non è ammissibile introdurre, con un autonomo procedimento monitorio, la domanda di condanna al pagamento del conguaglio che non sia stata disposta nel giudizio di divisione e il decreto ingiuntivo eventualmente emesso dev’essere revocato, così come va dichiarata l’inammissibilità del precetto intimato sulla base del titolo esecutivo in questo modo formatosi, giacché il principio – pure affermato dalla giurisprudenza – in base al quale, in caso di omissione di pronuncia in cui non sia ravvisabile un rigetto implicito, l’impugnazione della sentenza non è l’unico rimedio per ottenere una decisione nel merito, dovendosi riconoscere la possibilità di riproporre la domanda in separato giudizio, riguarda solo l’ipotesi dell’omessa pronuncia su domanda autonoma.